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02.01.2012 - VIVIANA SPADA

Un momento letterario per ogni giorno dell'anno

La figura di Giulio Einaudi

Giulio Einaudi nasce il 2 gennaio 1912 a Dogliani, in provincia di Cuneo, da Ida Pellegrini e da Luigi Einaudi, autorevole economista e appassionato bibliofilo, divenuto in seguito primo presidente della Repubblica Italiana (dal maggio 1948 all'aprile 1955).

Il giovane Giulio frequenta il ginnasio-liceo Massimo D'Azeglio di Torino, e qui è allievo dell'antifascista Augusto Monti: è in quest’ambiente che compie la più formativa delle esperienze, ovvero accetta il consiglio di Monti di prendere lezioni da un suo ex-allievo che è già all'università, Massimo Mila. Questi, complice il latino, diventa amico di Einaudi e lo introduce nella ‘confraternita’ degli ex-allievi del D'Azeglio fra i quali ci sono ‘Ces’ o ‘Paves’ o il ‘Barone’ ovvero Cesare Pavese; ‘Agenzia Tass’ o ‘il barbuto lion dei Monti Urali’, che è Leone Ginzburg, soprannominato così perché nato in Russia e marito della nota scrittrice Natalia; Norberto Bobbio, detto ‘Bindi’, e poi Vittorio Foa, Giulio Carlo Argan, Ludovico Geymonat, il giovane professore Franco Antonicelli e molti altri. E gli incontri della ‘confraternita’ (fu Mila a chiamarla così) con il professore, al caffè Rattazzi, nelle case dell'uno e dell'altro, molte volte in trattoria, si snodano in discussioni che spaziano dalla politica alla filosofia, alla letteratura.

Nel 1929, presa la maturità, s’improvvisa amministratore de ‘La Riforma Sociale’, la rivista del padre, con l'intenzione di potenziarla. Sebbene fosse destinato a fare il medico, a poco più di vent’anni si lancia nell'editoria. Un giorno, il padre Luigi incontra Augusto Monti e gli dice: “Sa una cosa, professore? Il mio Giulio si è scoperto la bozza del lanciatore di libri e riviste... vuol fare, dice lui, l'editore”. È una grande notizia per i compagni che sostengono subito l'iniziativa. E infatti il 15 novembre 1933, al terzo piano di via Arcivescovado 7, nello stesso palazzo che era stato sede dell'«Ordine Nuovo» di Antonio Gramsci, nasce ufficialmente la ‘Giulio Einaudi Editore’. "L'interesse" delle autorità per la neonata casa editrice non tarda a venire. Una nota della polizia alla segreteria particolare di Mussolini annuncia che essa ‘avrà il compito di diffondere pubblicazioni antifasciste abilmente compilate’ e segnala che si sono svolte riunioni a Torino, Milano e Firenze per ‘aggruppare gli azionisti o sovventori’ fra i quali ci sono ‘Nello Rosselli fratello del fuoruscito; il senatore Ruffini, Luigi Einaudi, il senatore Della Torre’ e altri non meglio identificati ‘professionisti torinesi e milanesi’. Il documento è del 9 marzo 1934. Quello stesso anno la casa editrice, che aspira a realizzare ‘un progetto editoriale con interventi nel campo della storia, della critica letteraria e della scienza e con l'apporto di tutte le scuole valide, non appiattite dal prevalere della politica sulla cultura’, pubblica il primo volume: "Che cosa vuole l'America?" di Henry Agard Wallace, allora vicepresidente degli Stati Uniti, con una coraggiosa prefazione di Luigi Einaudi. La grande avventura è cominciata. Giulio Einaudi gestisce l'impresa fin dall'inizio in maniera collegiale. Non fa l'editore padrone, è come un principe illuminato che ama il lavoro di gruppo. Ogni scelta matura in appassionate discussioni con i suoi amici-collaboratori. In quelle che saranno poi le tradizionali riunioni del mercoledì, è lui che ha l'arte di attizzare i contrasti per provocare benefici e proficui scatti delle intelligenze. Da subito dedica una cura particolare alla fattura dei libri: la carta, la legatura, le copertine (a lungo disegnate da Francesco Menzio), e anche la grafica per la quale sarà all'avanguardia grazie alla collaborazione di maestri come Bruno Munari, Albe Steiner e Max Huber. Significativo dello spirito che anima l'impresa editoriale diventa ben presto il simbolo che comincia ad apparire sui libri, l'ormai famoso struzzo nell'atto d'ingoiare un chiodo con il motto: ‘Spiritus durissima coquit’, ovvero una volontà capace di digerire anche i chiodi. Una volontà che rasenta la fede nelle vicissitudini dei primi dieci anni, quando Einaudi e soprattutto i suoi più stretti collaboratori devono fare i conti con arresti, condanne al confino, con tutti i drammatici problemi del fascismo e della guerra. Einaudi collabora con il gruppo torinese di ‘Giustizia e libertà’ e, il 15 maggio del '35, subisce l'arresto, insieme con i suoi amici Mila, Ginzburg, Foa, Antonicelli, Bobbio, Pavese, Carlo Levi e Luigi Salvatorelli. E’ prima imprigionato, poi inviato al confino.

Ma nel '36 il lavoro della casa editrice può riprendere e Leone Ginzburg e Cesare Pavese sono le due colonne su cui essa poggia: il primo, innanzitutto, che affianca l'amico editore fin dall'inizio e fornisce ‘i primi semi che, germinati, sarebbero poi cresciuti’. E si tratta della collana dei "Saggi", di quelle dei "Narratori stranieri tradotti" e della "Biblioteca di cultura storica". Pavese entra invece a lavorare a tempo pieno dopo un primo periodo di collaborazione in cui ha fatto, sono sue parole, ‘il cavallo di stanga del biroccio di Einaudi’. E col suo arrivo porta le traduzioni di Defoe, Gertrude Stein, Dickens, Melville e altri, le sue opere di narratore e poeta, le sue letture e revisioni di testi da pubblicare. In questo menage intellettuale a tre se Leone Ginzburg e Giulio Einaudi di tanto in tanto litigano, non si parlano per qualche giorno e poi si riconciliano scrivendosi lunghe lettere, Pavese fa la parte del castigamatti. È così meticoloso, puntiglioso, preciso da trovare sempre qualcosa su cui brontolare. Si aggiungono nuovi collaboratori: compaiono Giaime Pintor, tenente del regio esercito, nipote di un generale; Carlo Muscetta, che vara la "Universale Einaudi" di testi classici in cui appare l'"Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Masters che segna l'esordio, come traduttrice, di Fernanda Pivano. C'è poi la nuova scrittrice, Elsa Morante, che con "Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina", da lei stessa illustrate, inaugura la collana "Libri per l'infanzia e per la gioventù" nella quale compaiono di lì a poco anche "Le Macchine" di Bruno Munari, il volume più spassoso e più nuovo per quei tempi. Con "Le occasioni" Eugenio Montale ha inaugurato la collezione "Poeti".

Poi, l'8 settembre 1943 blocca ogni attività. La lotta di resistenza sparpaglia tutti. Giulio Einaudi si rifugia alcuni mesi in Svizzera e di là, già pensando al dopo, scrive e telefona per assicurarsi i diritti di scrittori come Hemingway, Sartre e altri. Vittorini comincia un’intensa collaborazione con la casa editrice dello Struzzo ideando una collana ormai mitica: "I gettoni". È lì che lui, generoso scopritore di talenti, pubblica per un decennio le opere di nuovi scrittori come, fra gli altri, Carlo Cassola, Beppe Fenoglio, Mario Rigoni Stern, Anna Maria Ortese, Lalla Romano.

Leggendarie le riunioni del mercoledì, dove si sceglievano i libri da pubblicare, o l'annuale incontro in valle d'Aosta per decidere la politica editoriale. Giulio Einaudi, autoritario, assolutista, perfezionista, ascoltava tutti, ma alla fine era lui che decideva. Alla casa editrice, dal '45 nella storica sede di via Biancamano, si deve la scoperta e la pubblicazione di opere che hanno segnato da cultura del '900. Dalla traduzione della "Ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust, alle opere di Bertolt Brecht, Jean Paul Sartre, Thomas Mann, Jorge Luis Borges, Robert Musil. Immenso il lavoro di divulgazione storica, culminata alla fine degli anni '70 con "La storia d'Italia".

Poi, dopo quegli anni Settanta, inizia il periodo di crisi. Nel dicembre ’83 a causa di dissesti finanziari arriverà per l’Einaudi l’amministrazione controllata, che avvierà la transizione verso una nuova struttura societaria nel 1987. Giulio Einaudi rimane presidente, ma la casa editrice passa sotto il controllo di Intracom; dal ’94 sarà Mondadori a controllare il 70% delle quote societarie.  Negli anni novanta, dopo la caduta del muro di Berlino e la crisi del comunismo internazionale, alcuni intellettuali, fra cui Ernesto Galli della Loggia, accendono una vivace polemica contro la casa editrice, accusata di non aver saputo seguire una politica editoriale autonoma dalla linea del Pci. Giulio Einaudi non risponde immediatamente, ma è molto addolorato da queste accuse, cui replica in sua difesa Norberto Bobbio. Einaudi, non c'è dubbio, è stato un custode dei valori della Resistenza, un liberale progressista che dialogava con la sinistra e col Pci. Si è già detto della polemica con Palmiro Togliatti a proposito de "Il Politecnico". Bisogna ricordare che Einaudi si rifiuta di pubblicare l'opera completa di Nietzsche. Ma la stessa casa editrice non avrà problemi a pubblicare il "Mussolini" di Renzo De Felice, uno studioso certo non di sinistra. Giulio Einaudi muore il 5 aprile del 1999, a ottantasette anni, nella sua casa di campagna a Magliano Sabina, vicino a Roma.

(notizie tratte in parte dalla biografia di Luciano Simonelli)


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